I nuovi “migranti” italiani: chi sono, dove vanno e cosa cercano

I nuovi “emigranti” italiani:

chi sono, dove vanno e cosa cercano

Sono sempre più numerosi gli italiani, soprattutto giovani, che lasciano il nostro Paese per stabilirsi all’estero. Se ne discute e se ne scrive in vari àmbiti, fornendo spunti e cifre che abbiamo cercato di sintetizzare.


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Ma quale fuga di cervelli? Sarebbe semplicistico affermare che gli odierni emigranti italiani vanno all'estero solo per “fuggire” dal loro Paese. In realtà, li muove l’attrazione verso ciò che si desidera. Ma che spesso da noi non si trova.
Poniamoci delle domande. Chi sono, a quali zone d’Italia appartengono e dove vanno gli italiani che scelgono di stabilirsi per lunghi periodi (o forse per sempre) in Paesi esteri? Quali le loro motivazioni e il grado di istruzione?
Qualche risposta, in tema di emigrazione e suoi mutamenti recenti, viene dal Rapporto 2015 “Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes (organismo che fa capo alla Cei), presentato a Roma e con i contributi di numerosi esperti del settore. Dal contenuto emerge anzitutto che il numero degli “expat” è in continuo aumento. Infatti, nel solo 2014 hanno fatto le valigie (e non per vacanze) in 101.297, con una crescita del 7,6% rispetto al 2013 (94.126). A trasferirsi all’estero sono stati in prevalenza uomini (56,0%), non sposati (59,1%), tra i 18 e i 34 anni (35,8%). Sono partiti soprattutto dal Nord Italia e dalla Sicilia e la meta preferita è stata la Germania (14.270).

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In appena 10 anni, stando ai dati (benché non del tutto affidabili, ndr) dell’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) i flussi migratori sono complessivamente cresciuti addirittura del 49%. Infatti l’Aire ha visto salire gli iscritti da 3.106.251 nel 2006 a 4.636.647 nel 2015 (oltre 3000 si stimano all’Aire della città di Novara, ndr). I Paesi che, nel mondo, accolgono le comunità di italiani più numerose sono gli stessi che mostrano anche crescite incisive nell’ultimo decennio, come Argentina, Germania e Svizzera. Ma importanti flussi di italiani, più recentemente, si sono registrati anche verso Spagna, Venezuela, Irlanda, Cina ed Emirati Arabi. Per i nati a Novara (nostra nota aggiuntiva, che depura i dati globali Aire) i Paesi privilegiati sono, nell’ordine, Svizzera, Usa, Spagna, Regno Unito, Germania e Francia.

Dal rapporto Migrantes, curato da Delfina Licata, di rileva inoltre che, pur restando primaria l’origine meridionale di flussi, si sta progressivamente assistendo a un abbassamento dei valori percentuali del Sud a favore di quelli del Nord del Paese. Infatti, pur restando la Sicilia la prima regione d’origine (oltre 700 mila unità) degli italiani residenti all’estero (seguita da Campania, Lazio e Calabria), si evidenzia un marcato rialzo delle regioni settentrionali, in particolare Lombardia, Veneto e Piemonte.
La maggior parte della comunità italiana all’estero è composta da uomini (2.408.683), mentre le donne sono 2.227.964. Degli iscritti Aire, 1.818.158 sono nati all’estero e 151.769 hanno acquisito la cittadinanza del Paese ospitante. E non parte solo chi cerca un lavoro. Sono infatti in aumento i laureati e i liceali che decidono di trascorrere un lungo periodo all’estero. Sono i “Millennials”, la generazione più istruita dal secondo dopoguerra ad oggi, spesso con qualificati titoli di studio post-laurea (specializzazione, master, dottorato di ricerca). E sono, allo stesso tempo, anche la generazione più penalizzata in patria dal punto di vista delle possibilità professionali e, quindi, più esposta alla disoccupazione.
A questo punto è opportuno precisare che gli “italiani nel mondo” del rapporto della Fondazione Migrantes sono cosa ben diversa rispetto a quell’immensa moltitudine in parte italofona, di più o meno lontane origini italiane, distribuita nel globo. Si potrebbe valutare in quasi 80 milioni di individui (oriundi di seconda e terza generazione) e forse altrettanti di generazioni più lontane. Sono gli “Italici”, come li chiama in un suo fresco libro Piero Bassetti, augurandosi che possano in futuro costituire una grande e attiva comunità sovranazionale insieme a chi sta in patria, un po’ come succede per il Commonwealth e la Hispanidad. Gli italici devono solo rendersi conto delle proprie potenzialità, che sono notevoli in ogni settore. “Molti ci credono ma non è chiaro - ha scritto Beppe Severgnini sul Corriere della Sera - se ci credono i nostri politici”. Perché se l’Italia è difficile da governare, l’italicità è impossibile: è libera per definizione. “Non basta introdurre - cito ancora Severgnini - la legge sulla cittadinanza più generosa del pianeta. Diciamolo: molti dei nuovi italiani di passaporto non sono italici, né voglio esserlo.  Italici sono invece i nostri giovani nel mondo e vorremmo che si sentissero liberi di tornare”. Però l’eventuale “non ritorno”, come precisa Bassetti, “non è una perdita irreparabile, bensì un’occasione”.
Dunque, che cosa spinge ad espatriare? Qui interviene di nuovo il rapporto Migrantes, secondo cui vi è una “mutazione antropologica delle giovani generazioni”, sempre connesse, fiduciose in se stesse e orientate ad interagire con il resto del mondo e con altre culture, facendo nuove esperienze. La sfida è culturale - afferma il documento - sorta in un Paese da troppo tempo fermo su se stesso, che non si evolve e non costruisce nuove teorie sociologiche di riferimento. L’Italia è una nazione che ha scarsamente considerato la mobilità come qualcosa di positivo e produttivo, ancorata all’idea ancestrale dell’emigrazione dei più poveri, di chi aveva fame e usciva dalla guerra, dei volti emaciati con in tasca pane e cipolla e un fagotto o al più una valigia di cartone. L’emigrazione tutta, italiana in particolare, è oggi altro; essa si è evoluta portando alla cultura del diverso in quanto altro da noi, quindi potenziale arricchimento per la nostra identità e la nostra personalità. In sostanza la nuova mobilità rappresenta, concorda Bassetti, un ringiovanimento culturale e caratteriale di società ricche ma stanche, sviluppate ma infelici, potenti ma fragili.

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In conclusione - secondo il rapporto Migrantes - l’Italia, invece di arginare una mobilità impossibile da frenare, perché è nella natura di giovani che vogliono essere parte del “cambiamento”, dovrebbe “valorizzare il suo capitale umano, favorendo e sostenendo anche i progetti di ritorno e non solo con incentivi fiscali; per esempio mettendo in rete chi decide di rimanere all’estero” così da realizzare una “Italia diffusa”, la grande comunità “italica” di cui si accennava sopra, che giovi allo sviluppo del Paese. Questo è anche lo spirito, diverso rispetto ad altri organismi simili, con cui è sorta l’Associazione Novaresi nel Mondo.


Data di creazione: 29/10/2015 10:09
Categoria: - Da Novara
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