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Paese nuovo, con parole nuove - 1

QUEL PRIMO IMPATTO, IN PAESE NUOVO, CON "PAROLE NUOVE"

Ecco un racconto di vita vissuta con protagonista, una volta tanto, un Socio Familiare. In realtà sarà successo a tanti di trovarsi, all’arrivo in un nuovo Paese, un po’ in difficoltà con il gergo parlato nelle vicende di tutti i giorni, malgrado la lingua ufficiale sia stata magari studiata a scuola. Ospitiamo lo scritto (in due puntate, perché due sono i Paesi in questione) di Rebecca Ricci, moglie di Massimo Bossi, nostro Socio Effettivo a Aix-en-Provence in Francia.

Rebecca-Bossi-1.gifAIX-EN-PROVENCE - Quando arrivai in Provenza , ormai oltre venti anni fa, una delle mie priorità fu di imparare le parole base della lingua, termini senza conoscere i quali è facile correre il rischio di perdere il buonumore, attanagliati dal dubbio costante di cosa possa esserci stato detto a colloquio con la gente. Ovviamente, per sopperire alle prime necessità, avrei potuto girare con un dizionarietto sotto il braccio; mi ci vedevo poco, però, a trascinarmi dietro il vocabolario (ci mancava solo quello da aggiungere ai tre figli); inoltre, in un tascabile, il numero dei termini è assai ridotto e non avrebbero trovato posto quelli per cui temevo di rimanere interdetta.

I termini e le espressioni verso i quali impratichirmi non erano le parole base che s’imparano a scuola. Infatti le conoscevo già; ed anche quelle un po’ più raffinate e così pure i verbi. Il francese l’avevo studiato in Italia, alle scuole medie e al ginnasio. Mi ci avevano ossessionato con i verbi e con la grammatica; ma, devo ammetterlo, un bel giorno tutto questo m’è tornato utile e ho tardivamente “riabilitato” le professoresse che all’epoca maledicevo.
Il tipo di linguaggio “basic” per colloquiare civilmente, dunque, non mi mancava. Mi mancava l’altro: cioè il gergo che, magari, generalmente le persone educate non utilizzano, ma è necessario conoscano per non rimanere con un sorriso disdicevole se qualche maleducato lo adoperi nei loro confronti.
Una precedente esperienza oltreoceano mi aveva marcato a vita. Più di dieci anni prima del mio arrivo in Provenza, avevo trascorso un lungo periodo in Pennsylvania  (Stati Uniti). Senza figli, libera del mio tempo, agli inizi trascorrevo ore in quei templi dello shopping con caffetterie annesse, dove ogni tanto sostavo per ristorarmi e riposarmi. Un giorno due giovani donne, sedute a un vicino tavolo, iniziarono a rivolgermi la parola.
Il mio americano dell’epoca, sufficiente per ritrovare casa e comunicare il necessario, non bastava per tenere grandi conversazioni.
Dopo iniziali cortesi risposte, in seguito si crearono enormi vuoti, che cercavo di colmare con dei sorrisi. Continuavo con i miei “smiles” e loro con il bla-bla. Mi dissero qualcosa che, sebbene ripetuto più volte, non riuscii proprio a tradurre. Perplessa, lasciai che il tarlo del dubbio s’insinuasse. Le due donne però sorridevano ed io, pur titubante, continuai a produrre… “cheese”. Infine decisi che era tempo di andarmene, seguita dal loro sguardo, divenuto manifestamente ironico, e da beffarde risate.
Tornando verso casa, feci una deviazione dalla mia amica Joyce in cerca di spiegazioni. Beh, c’era poco da capire, le parole rivoltemi erano uscite da un vocabolario del turpiloquio e le due donne si erano prese gioco di me e della mia ignoranza linguistica.
A distanza di quasi trent’anni il ricordo di quel pomeriggio, dai contorni ormai sfumati, la sensazione di disagio e la conseguente determinazione di impossessarmi delle sottigliezze di una lingua (con predilezione per quanto di poco ortodosso esista) riesce ancora a farmi salire la pressione.
La prossima volta, dunque, proseguirò il racconto della mia esperienza francese. 

Rebecca Ricci Bossi


Data di creazione: 18/02/2014 12:38
Ultima modifica: 01/03/2014 09:04
Categoria: Notizie dal mondo - Dalla Francia-Rebecca Ricci Bossi
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